Le compagnie telefoniche non possono usare i dati personali dei lori clienti per inviare Sms, nei quali chiedono il consenso all’attività di marketing. La disponibilità a ricevere comunicazioni commerciali deve essere data, infatti, al momento del contratto, se questo non avviene si intende negata. E i gestori non possono cercare di recuperare l’adesione in un secondo momento, mandando messaggi che ledono, oltre alle norme sul trattamento dei dati personali, anche l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela il diritto alla vita privata e familiare. La Cassazione, con la sentenza 9920, ha così accolto il ricorso del Garante della privacy, contro la decisione del Tribunale di “sdoganare” gli sms inviati da Wind tre.
Il giudice di merito, pur avendo ribadito in base al Codice della privacy, il divieto di attività pubblicitarie o la promozione quando non c’è il consenso dell’utente, aveva considerato leciti gli sms proprio perché tesi a portare a casa il permesso. Una conclusione in contrasto con le norme nazionali e sovranazionali.
Nel mirino dei giudici di legittimità sono finiti i testi di due diversi messaggi, inviati ai nuovi clienti e a quelli già presenti nella customer base, ma che non avevano dato il via libera alle promozioni. Nel primo caso con l’Sms, dopo il ringraziamento per aver scelto il gestore, si dava il benvenuto nel mondo delle esclusive offerte promozionali, invitando il nuovo cliente a chiamare il numero che avrebbe consentito di non perdere l’occasione di ricevere tutte le informazioni di marketing.
Ai vecchi clienti si ricordava invece che non risultava ancora il consenso ai contatti, con l’invito a rimediare chiamando il numero gratuito. Per la Cassazione non c’è dubbio che le comunicazioni, fatte con sistemi automatizzati senza operatore, rientrino – secondo il Dlgs 69/2012 sulla protezione dei dati personali e in base alla direttiva e-privacy – nelle comunicazioni commerciali illegittime.
La Cassazione ricorda che il mancato consenso va equiparato al dissenso «ove il consenso alle campagne di marketing non sia stato anteriormente prestato – si legge nella sentenza – la condizione è nel senso di doversi ritenere che lo stesso sia stato semplicemente già negato al momento del contratto». E la compagnia telefonica non può giocare al recupero in un secondo momento «cosicché ogni successiva attività integrata da comunicazioni automatizzate volte a farne mutare il senso diventa essa stessa un’interferenza illegittima, poichè finalizzata a commercializzare il servizio aggiuntivo nonostante la mancanza del consenso esplicito».
La decisione raggiunta dal Tribunale contiene dunque, spiega la Cassazione, un «meccanismo valutativo di tipo sofistico» non in linea con la direttiva comunitaria che ha come condizione di fondo un mercato unico armonizzato, nel quale siano garantite norme di comportamento semplici.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)