Come noto, solo il comportamento “imprevedibile”, “abnorme” ed “esorbitante dal processo produttivo” e dall’area di rischio posto in essere dal lavoratore è considerato tale da interrompere il nesso di causalità tra l’infortunio o la malattia professionale e la condotta di altri soggetti (datore di lavoro, dirigente, preposto, RSPP o altri..) e quindi tale da esonerarli da responsabilità.
Dunque le domande da porsi sono due:
1) Quali caratteristiche deve avere il comportamento del lavoratore per essere definito abnorme o imprevedibile dalla giurisprudenza;
2) In quali casi concretamente il comportamento del lavoratore è stato considerato tale dalla giurisprudenza.
1) Alla prima domanda risponde in maniera esaustiva una pronuncia del mese scorso ( Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 maggio 2017 n.12561) che illustra il punto di partenza da cui dobbiamo necessariamente partire: i criteri che si applicano in materia di responsabilità del lavoratore.
Questa la premessa iniziale di ogni ragionamento: “in materia vige il principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l’addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio, giacché al datore di lavoro, che è “garante” anche della correttezza dell’agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest’ultimo il rispetto delle regole di cautela (Cassazione 2010, n.32357).”
Dall’altro lato, “la responsabilità dell’imprenditore è esclusa solo in caso di dolo o di rischio elettivo del lavoratore, ossia di rischio generato da un’attività estranea alle mansioni lavorative o esorbitante da esse in modo irrazionale.”
E dunque, “l’esonero della responsabilità del datore di lavoro si verifica solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri “dell’abnormità, dell’inopinabilità, dell’esorbitanza” rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute, o “dell’atipicità e dell’eccezionalità”. La semplice irrazionalità della condotta, quando sia controllabile in anticipo, invece, non vale ad esonerare il datore di lavoro.”
In applicazione di questo principio, “si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli utilizzando gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Cass. Sezione 4, 5 giugno 2008, Stefanacci).
Mentre altra ipotesi paradigmatica di interruzione del nesso causale è quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro (come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un’altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore; ovvero nel caso in cui il lavoratore, pur nello svolgimento delle mansioni proprie, abbia assunto un atteggiamento radicalmente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenze comportamentali; cfr., tra le altre Cass. Sezione 4, 22 gennaio 2007, Pedone).”
2) Fatta questa premessa, passiamo alla seconda domanda (che sarà seguita da una sintesi conclusiva finale) e facciamo – senza pretese di esaustività – qualche esempio concreto di casi in cui il comportamento del lavoratore è stato considerato imprevedibile dalla giurisprudenza e quindi tale da interrompere totalmente il nesso di causalità con la condotta di altri soggetti esonerandoli così da responsabilità.
1) “un dipendente di un albergo in una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l’auto parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si era introdotto abusivamente in un’area di pertinenza di un attiguo albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale alla temperatura di circa 80 gradi. L’area era protetta da ringhiere metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna protezione all’interno dell’area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le vasche. In prossimità dell’area si trovavano segnali di pericolo. L’uomo, che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era incamminato lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella vasca e perdendovi la vita (Sez. 4, n.11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215).”
Qui l’assoluzione del datore di lavoro “era motivata dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori che ne emanavano e dal buio”;
2) “un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell’imprenditore deve essere esclusa allorché l’infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto…” (Sez.4, n.3510 del 10/11/1989, dep.1990, Addesso, Rv.183633);
3) “un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito la mano all’interno dell’apparato, per rimuovere residui di lavorazione, subendone l’amputazione. L’imputazione riguardava il reato di cui all’art. 590 cod. pen. in relazione all’art.68 d.P.R. n.547/55 per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte di Appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di merito perché verificasse se l’incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l’operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l’operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell’operatore era totalmente assorbita nell’introduzione del legno nell’apparato” (Sez.4, n.10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 203223)
Estratto di un articolo della Dott.ssa Anna Guardavilla