Vi è tuttora molta confusione su cosa si debba intendere per lavoro in quota, nonostante l’art. 107 del D.Lgs. 81/08 sembra apparentemente chiaro:
“lavoro in quota: attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile”.
Parliamo di apparenza in quanto, per esempio, il legislatore non ha fornito alcuna definizione di cosa si debba intendere per piano stabile.
Ormai è prassi considerare piano stabile una qualsiasi superficie di appoggio dove, in nessun caso, la forza di gravità possa avere una sia pur minima incidenza, anche in caso di evento anomalo ma ragionevolmente prevedibile.
Per intenderci, quindi, il piano di un ponteggio in fase di installazione non è un piano stabile, poiché il ponteggio è un’opera provvisionale. Il lavoratore che opera al suo montaggio è esposto al lavoro in quota e deve essere dotato dei DPI anticaduta. Quando il ponteggio è definitivamente montato, i parapetti costituiranno un DPC (dispositivo di protezione collettiva), nell’ottica dell’Art. 122, e per lavorarvi “normalmente” (piedi sull’impalcato e senza doversi sporgere) non servono DPI anticaduta in quanto non si è esposti al rischio di caduta dall’alto.
Un solaio, può essere considerato piano stabile? Il solaio o una terrazza se hanno superficie piana e muniti di parapetto lungo tutte le aperture, possono essere considerati piani stabili entro 1.5 metri dal bordo soggetto a rischio di caduta dall’alto.
Oltre ai dubbi sopra, anche la Cassazione con alcune recenti sentenze, interpreta in maniera molto restrittiva il concetto di lavori in quota.
La Sezione IV ha motivato la sentenza, legata alla nozione dei lavori in quota, sostenendo che “l’altezza superiore a m 2 dal suolo, tale da richiedere le particolari misure di prevenzione prescritte dall’art. 122 del D. Lgs. n. 81 del 2008, va calcolata in riferimento all’altezza alla quale il lavoro viene eseguito, rispetto al terreno sottostante, e non al piano di calpestio del lavoratore”. Quindi, sotto il profilo giuridico, secondo la Corte suprema, non ha rilievo che il piano di calpestio sia posto ad un’altezza inferiore a metri 2, se il lavoro si svolge ad un’altezza superiore..
Sembrerebbe quindi che, se un operatore fosse alto 2 metri e si mettesse a svitare una lampadina, sarebbe sottoposto a rischio di caduta dall’alto!!! E’ chiaro che la Cassazione non ha interpretato l’Art. 107 ma lo ha proprio riscritto. Senza entrare nel merito di questa sentenza, possiamo ora andare avanti con il nostro articolo.
Altro dubbio che sovente avviene è quello relativo all’utilizzo delle scale, usate come attrezzatura utile per l’accesso ad altre aree considerate “sicure” in quanto, per esempio, munite di superfici piane e dotate di idoneo parapetto lungo tutti i lati.
In questa ipotesi, la scala usata per arrivare al posto di lavoro è un sistema di accesso e non è lavoro in quota. La scala dovrà rispondere ai requisiti previsti e si dovranno adottare le misure cautelative, connessa alla stessa a al mero utilizzo. Ma se sulla scala non vi lavoro, è solo un sistema di accesso.
Un sistema di accesso deve essere semplicemente idoneo tenendo conto della frequenza di utilizzo, dislivello e durata.
Concetto importante è ribadire che quando si lavora in quota non sempre si reputa necessario l’utilizzo dei DPI anticaduta. La normativa, infatti, indica che quando non puoi ricorrere a protezioni collettive allora devi usare protezioni individuali.
Torniamo al nostro esempio del ponteggio. Lavorare su un ponteggio è definito lavoro in quota. Nella fase di montaggio sarò esposto al rischio di caduta, motivo per cui dovrò usare DPI anticaduta, ma nella fase di montaggio concluso il rischio caduta viene eliminato dalla presenza delle protezioni collettive (parapetti). Ovviamente se dovrò rimuoverli temporaneamente dovrò usare i DPI.