In caso di motivata urgenza il singolo condomino può procedere all’installazione di un impianto di videosorveglianza sulle parti comuni senza il preventivo consenso dell’assemblea condominiale e richiedere all’amministratore il rimborso delle spese sostenute.
Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 71 del 3 gennaio 2013, rigettando il ricorso presentato contro una precedente sentenza del giudice di pace che aveva dato ragione al condomino che aveva chiesto il rimborso delle spese per l’installazione in via d’urgenza di una telecamera a circuito chiuso con videoregistratore semestrale, al fine di scoraggiare azioni di danneggiamento, ulteriori rispetto a quelle già denunciate al Questore.
Gli ermellini, confermando la tesi del giudice di prime cure, hanno affermato che nel caso in cui un soggetto effettui riprese di un’area condominiale destinata all’uso di un indeterminato numero di persone, non sussistono gli estremi atti ad integrare un delitto di interferenze illecite nella vita privata. Escludendo, dunque, la violazione della privacy e rilevando che tutti gli altri condomini non hanno avuto nulla da dire né sull’installazione né sul rimborso delle spese, ad eccezione del ricorrente, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Il 45% dei ricorsi al Garante della privacy riguarda banche, assicurazioni e informazioni creditizie: sono il settore più bersagliato dalle richieste di correntisti e debitori, i quali si rivolgono all’Authority per la tutela della propria riservatezza. È quanto emerge dalla relazione per il 2011 del collegio presieduto da Antonello Soro, nella quale si evidenzia la casistica che ha più impegnato l’autorità garante, che riguarda anche i datori di lavoro e i giornali online.