Non basta il consenso di un solo genitore per autorizzare la pubblicazione online delle foto dei figli minorenni. Questo vale anche se marito e moglie sono separati e se i figli sono in regime di affido condiviso. Ma se mamma o papà assistono all’evento che poi finisce postato sui social non possono ottenere il risarcimento del danno: perché, essendo presenti, avrebbero potuto intervenire per tutelare i figli.
Così è capitato a un padre separato di Ravenna che, prima aveva assistito alla sfilata della figlia di tre anni in costume da bagno, accompagnata sul palco dalla madre, poi si era opposto alla pubblicazione delle fotografie sulla pagina Facebook del locale che aveva organizzato il defilè. Per il giudice (Tribunale di Ravenna, sentenza 1038 del 15 ottobre 2019) si profila una responsabilità per fatto illecito del locale che ha pubblicato le fotografie con il solo consenso della madre, ma non può essere risarcito il padre che avrebbe potuto interrompere la sfilata e non lo ha fatto. Insomma, le fotografie dei minori non possono essere pubblicate ma il danno deve essere dimostrato e i genitori devono intervenire subito.
Le condizioni – Sono sempre più frequenti le decisioni dei giudici che ordinano lo stop – anche in via d’urgenza – all’esposizione mediatica dei figli minori se la pubblicazione delle immagini online avviene con il consenso di un solo genitore. Così, i giudici dettano le regole per la tutela dell’identità digitale dei minori, ponendo fine a litigi e contenziosi in caso di affidi condivisi o di nuovi compagni che “postano” immagini senza chiedere il permesso. Non solo: a volte, le pronunce prevedono anche il pagamento di penali a favore dei minori.
Si tratta di decisioni che fotografano un ribaltamento di ruoli e responsabilità e un grave ritardo nella conoscenza da parte dei genitori del proprio ruolo educativo.
La necessità del consenso di entrambi i genitori per autorizzare la pubblicazione online delle foto dei figli minori anche quando sono separati e i figli sono in affido condiviso dipende dal fatto che la diffusione dell’immagine non rientra nelle decisioni di ordinaria amministrazione, per cui è sufficiente il consenso di un solo genitore, ma in quelle maggiormente rilevanti per cui è, invece, necessario il consenso di entrambi.
Il principio giuridico si fonda oggi anche sull’articolo 8 del regolamento Ue 679/2016 (Gdpr), così come coordinato dall’articolo 2-quinquies del decreto legislativo 101/2018 che ha previsto che il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a 14 anni è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.
La protezione dei dati personali è per il nostro ordinamento tra i diritti e le libertà fondamentali, conformemente all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, rafforzato per i minori dalla Convenzione di New York. Eppure continuano a finire in tribunale i casi di genitori e dei nuovi compagni che rifiutano di rimuovere le fotografie dei minori online o che preferiscono dialogare con loro tramite i social network piuttosto che con contatti nella vita reale.
I casi – È successo a Pistoia dove il giudice (Tribunale di Pistoia, ordinanza del 7 luglio 2018, giudice Gargiulo)ha dovuto ammonire un padre di non pubblicare sui social network le fotografie della figlia che creavano disagio alla stessa, prescrivendogli di intraprendere un percorso psicologico di sostegno. Non solo: il giudice ha anche avvertito il padre che ogni condotta di esposizione mediatica della figlia sarebbe stata valutata ai fini delle decisioni sul regime di affidamento.
Uno squilibrio educativo che per i giudici si riflette anche nei casi di sexting, ovvero quando i figli condividono online immagini intime.
È capitato in provincia di Caltanissetta dove una minorenne aveva condiviso su WhatsApp foto che la ritraevano nuda. A finire sotto osservazione dei servizi sociali sono stati anche i genitori della ragazzina, ai quali il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta (decreto del 10 luglio 2018, presidente Porracciolo, estensore Gatto) ha prescritto un percorso di sostegno alla genitorialità per rafforzare la loro funzione educativa e di controllo.
I minori sono infatti soggetti deboli che necessitano di apposita tutela anche con riferimento all’educazione informatica. Ai genitori viene chiesto di fare la loro parte, rafforzando la propria attenzione e il controllo sui figli minorenni. I giudici sono chiari: il dovere di vigilanza dei genitori deve sostanziarsi in una limitazione sia quantitativa che qualitativa dell’accesso alle varie piattaforme informatiche per evitare che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo possa essere utilizzato in modo non adeguato.
Fonte: Il Sole 24 Ore dell’11 novembre 2019