Anche dopo la revisione da parte del jobs act dell’art. 4 della legge 300/1970 sullo statuto dei lavoratori, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori di G. Porreca. Fonte: Punto Sicuro
Ha fatto il punto la Corte di Cassazione in questa sentenza in merito alla sanzionabilità, alla luce delle disposizioni di legge vigenti, dell’utilizzo di attrezzature audiovisive installate nei luoghi di lavoro senza il preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o in mancanza senza l’autorizzazione della competente Direzione Territoriale del Lavoro e utilizzate per controllare a distanza l’attività dei lavoratori. Anche dopo la revisione da parte del Jobs Act dell’art. 4 della legge 300/1970 sullo statuto dei lavoratori, ha sostenuto infatti nella sentenza la Corte suprema, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. in quanto sussiste continuità di tipo d’illecito tra la previgente formulazione del citato art. 4 della legge n. 300/1970 e la rimodulazione del precetto intervenuta a seguito del D. Lgs. n. 151 del 2015, nel senso che costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 della stessa legge.
Il caso, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione
La titolare di una unità di distribuzione di carburante ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione, impugnando la sentenza con la quale il Tribunale l’aveva condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 400,00 di ammenda per il reato previsto dagli articoli 4, comma 2, e 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in relazione agli articoli 114 e 171 del D. Lgs. 20/6/2003 n. 196, contenente il Codice in materia di protezione dei dati personali, perché, nella sua qualità di legale rappresentante della società che gestiva l’unità produttiva di distribuzione carburante, aveva consentito e tollerato e, comunque, non aveva impedito che venissero installate sei telecamere collocate nel piazzale nelle vicinanze delle pompe di erogazione del carburante in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, di un provvedimento della direzione territoriale del lavoro. Le telecamere erano collegate ad un monitor sistemato nel vano adibito ad uso ufficio per cui consentivano il controllo di una lavoratrice assunta in qualità di addetta alle pompe.
Tra le motivazioni addotte per l’annullamento della sentenza impugnata la ricorrente ha fatto presente che l’impianto era stato installato qualche anno prima allorché titolare dello stesso era il fratello per cui il Tribunale l’avrebbe dovuta assolvere in quanto estranea alla condotta contestata, trattandosi di reato istantaneo la cui consumazione è maturata nel momento della installazione dell’impianto. Come altro motivo, la ricorrente ha evidenziato che l’impianto di distribuzione carburante veniva gestito da suo marito che in dibattimento si era assunta la responsabilità di tutte le scelte e di tutte le iniziative relative alla gestione dello stesso, con la conseguenza che la mera carica formale dalla stessa ricoperta l’avrebbe dovuta esonerare da responsabilità.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha ricordato che l’articolo 4, comma 1, della legge n. 300/1970 nella sua formulazione originaria aveva stabilito che era “vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” e aveva posto pertanto un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei prestatori di lavoro e che inoltre, con il secondo comma, aveva disposto che “gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti” e, quindi, il divieto di cui al primo comma cessava qualora esigenze organizzative e produttive ovvero della sicurezza del lavoro avessero richiesto l’installazione degli impianti di controllo e il datore di lavoro avesse osservato la procedura ivi tassativamente prevista.
La violazione del precetto, ha così proseguito la suprema Corte, era inizialmente sanzionata dall’art. 38, comma 1, dello Statuto dei lavoratori ma con l’art. 179 comma 2 del successivo D. Lgs. n. 196/2003 era stata disposta la soppressione nel suddetto art. 38 comma 1 del riferimento all’art. 4. Nondimeno però, l’art. 114 comma 1 dello stesso D. Lgs. n. 196 del 2003 ha precisato che rimaneva “fermo quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300” e con l’art. 171, comma 1, ha precisato che “la violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300”.
A questo proposito la Corte suprema ha ribadito che la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che, anche a seguito dell’abrogazione espressa degli artt. 4 e 38 della legge 20 maggio 1970 n. 300, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, in quanto sussiste continuità normativa tra l’abrogata fattispecie e quella attualmente prevista dall’art. 171 in relazione all’art. 114 del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Sez. 3, n. 40199 del 24/09/2009, Masotti, Rv. 244902).
Questa è la situazione prima dell’entrata in vigore del Jobs Act. Nel 2015, però, l’art. 23 del D. Lgs. 14/9/2015 n. 151, attuativo di una delle deleghe contenute nel cosiddetto Jobs Act, ha modificato l’articolo 4 della legge n. 300/1970 rimodulando la fattispecie che prevede il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre degli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti “dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” e di quelli «utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”. L’art. 23, inoltre, con il secondo comma, ha novellato l’art. 171 comma 1 precisando che “la violazione delle disposizioni di cui all’articolo 113 e all’articolo 4, primo e secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge n. 300 del 1970”.
Con la rimodulazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, è solo apparentemente venuto meno, quindi, il divieto esplicito di controlli a distanza, nel senso che il superamento del divieto generale di detto controllo non può essere predicato sulla base della mancanza, nel nuovo articolo 4, di una indicazione espressa (com’era nel comma 1 del previgente art. 4) di un divieto generale di controllo a distanza sull’attività del lavoratore, avendo la nuova formulazione solamente adeguato l’impianto normativo alle sopravvenute innovazioni tecnologiche e, quindi, mantenuto fermo il divieto di controllare la sola prestazione lavorativa dei dipendenti, posto che l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo può essere giustificato “esclusivamente” a determinati fini e cioè per esigenze organizzative e produttive per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
Da ciò deriva, ha così precisato la Sez. III, che “sussiste continuità di tipo d’illecito tra la previgente formulazione dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970 e la rimodulazione del precetto intervenuta a seguito del d.lgs. n. 151 del 2015, nel senso che costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell’art. 4 Stat. Lav. è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 della stessa legge”.
Con riferimento, infine, all’osservazione avanzata dalla ricorrente di non avere installato lei le apparecchiature di videosorveglianza, la suprema Corte ha fatto rilevare che non ha alcuna rilevanza che sia stata lei ad avere installato gli strumenti di controllo a distanza dell’attività lavorativa ma che li abbia invece utilizzati o ne abbia tollerata la loro utilizzazione fuori dai casi in cui tali strumenti potevano essere consentiti.